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mercoledì 28 maggio 2008

La situazione dei diritti umani in Italia


Interessante, se si può dire così, "La situazione dei diritti umani in Italia" tracciata dal Rapporto 2008 di Amnesty International.
La parte riguardante l'Italia è suddivisa in cinque parti:
  1. Tortura, maltrattamenti e responsabilità delle forze di polizia
  2. Erosione dei diritti umani nella "guerra al terrore": le scelte dell'Italia
  3. Rom e migranti: discriminazione, xenofobia e provvedimenti sulla "sicurezza"
  4. Diritti dei rifugiati e dei minori migranti
  5. Commercio di armi e bambini soldato
Tortura, maltrattamenti e responsabilità delle forze di polizia
Scrive su questo punto Amnesty International "Anche la XV legislatura ha lasciato immutate le lacune relative all'attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura (CAT): l'Italia resta priva di uno specifico reato di tortura nel codice penale e da più parti sono state autorevolmente segnalate le ricadute di questo inadeguato quadro legale sulla possibilità che le forze di polizia rispondano effettivamente del proprio operato." e aggiunge "Il rischio di impunità è aggravato dalla mancanza di forme di identificazione dei singoli agenti di polizia durante le operazioni di ordine pubblico e dall'assenza di organismi indipendenti di monitoraggio. L'Italia non si è ancora dotata di un'istituzione nazionale di monitoraggio sui diritti umani e di un organismo indipendente di controllo sull'operato della polizia e non ha ancora ratificato il Protocollo opzionale alla CAT, il quale imporrebbe l'adozione di meccanismi di prevenzione." I punti principali che vengono affrontati su questo tema sono: il G8 2001 di Genova, Val di Susa 2005, La morte di Federico Aldrovandi, La morte di Aldo Bianzino e di Gabriele Sandri. G8 di Genova: si legge nel Rapporto "A marzo 2007, la Corte europea per i diritti umani ha dichiarato ammissibile il ricorso presentato per il caso di Carlo Giuliani, che venne colpito a morte da un carabiniere durante le manifestazioni. L'inchiesta in Italia era stata chiusa nel maggio 2003, quando il
giudice per le indagini preliminari aveva stabilito di non procedere contro il carabiniere poiché, secondo il giudice, questi aveva sparato per autodifesa e la traiettoria del proiettile era stata deviata da un calcinaccio lanciato da un manifestante. Nel processo per le violenze contro 93 manifestanti nell'irruzione alla "scuola Diaz" (complesso scolastico Diaz-Pascoli-Pertini) risultano imputati 28 agenti e funzionari di polizia, tra cui Francesco Gratteri, attuale Direttore della direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato e Giovanni Luperi, ora a capo di un dipartimento all'Aisi (ex Sisde). Durante le udienze succedutesi negli ultimi mesi sono emersi elementi scioccanti relativi alle violenze denunciate e sono stati descritti gli effetti delle stesse sulla vita delle vittime." .
Continua Amnesty "All'udienza del 13 giugno 2007, un funzionario di polizia imputato nel processo, diversamente da quanto dichiarato in precedenza, ha ammesso di aver assistito a gravi violenze perpetrate dagli agenti nel corso dell'irruzione e ha richiamato il ricordo di una ragazza con gravi lesioni alla testa, da lui vista giacere in terra in una pozza di sangue. Il 6 luglio 2007 sono state depositate le registrazioni delle comunicazioni telefoniche tra gli agenti di polizia impegnati nelle operazioni e la centrale operativa del 113. In una di queste, riportata dai media, si sente un'agente di polizia dire: "Ero a caricare le zecche (...) speriamo che muoiano tutti (...) tanto uno è già...1-0 per noi". Altre conversazioni telefoniche fanno riferimento ai feriti durante l'irruzione alla scuola Diaz.". Altro punto fondamentale osservato dal rapporto è quello delle "irregolarità nella conservazione di prove chiave per l'accertamento di responsabilità delle forze di polizia. - Infatti continua - All'udienza del 17 gennaio 2007 si è infatti appreso che le bottiglie molotov, portate secondo l'accusa alla scuola Diaz dalla polizia per giustificare gli arresti, erano sparite mentre si trovavano sotto sequestro; alcuni giorni dopo la questura di Genova ha dichiarato che potrebbero essere state distrutte "per errore". Sono inoltre emersi indizi che hanno condotto, nel marzo 2008, alla richiesta di rinvio a giudizio per incitamento alla falsa testimonianza di Gianni De Gennaro, Capo della polizia all'epoca dei fatti. L'udienza preliminare nel corso della quale si deciderà sul rinvio a giudizio inizierà il 16 giugno. Gianni De Gennaro è stato Capo di Gabinetto del ministro dell'Interno Amato ed è stato recentemente nominato Direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (ufficio di coordinamento dei servizi di intelligence).".
Per quanto riguarda il carcere di Bolzanetto si lege "sono imputati 45 tra agenti e funzionari di polizia (incluso l'allora vice Questore di Genova Alessandro Perugini), agenti e funzionari di polizia penitenziaria e medici, per violenze nei confronti degli oltre 250 manifestanti transitati dal carcere in stato d'arresto o di fermo. A marzo 2008 i pubblici ministeri hanno presentato le proprie richieste al giudice, con una significativa requisitoria. Secondo i pubblici ministeri, il trattamento delle persone a Bolzaneto è stato "di oggettiva vessazione nei confronti di tutti i detenuti e per tutto il periodo della loro permanenza presso il sito" e ha violato il divieto di tortura e maltrattamenti previsto dalla Convenzione europea dei diritti umani. Oltre alle violenze fisiche, i pubblici ministeri hanno ritenuto offensive della dignità "le costrizioni ad ascoltare o pronunciare o gridare slogan, inni o motivi inneggianti al nazismo ed al fascismo in particolare". Le memorie dei pubblici ministeri hanno segnalato che, in mancanza di un reato specifico nell'ordinamento penale, è difficile ricondurre i fatti che costituirebbero tortura nelle fattispecie ordinarie. I reati contestati agli imputati sono: abuso di autorità contro arrestati o detenuti, abuso d'ufficio, ingiuria, violenza privata, minacce, percosse e lesioni personali (e omissione di referto per i medici). I pubblici ministeri hanno sottolineato l'assoluta necessità di introdurre il reato di tortura nell'ordinamento italiano."
Con evidente sconcerto si legge nel rapporto "nessuno dei funzionari e agenti imputati nei processi è stato sospeso dal servizio. Diversi di loro sono stati, di fatto, promossi. I reati con cui sono perseguiti gli agenti di polizia sono soggetti a prescrizione e lo scorrere del tempo porta con sé il forte rischio che i processi si chiudano senza che nessuno venga ritenuto penalmente colpevole, né di fatto punito, per gli atti commessi nel luglio 2001."
Val di Susa 2005:
si legge "Ad agosto 2007 il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino ha rigettato la richiesta del pubblico ministero di archiviare il procedimento aperto dalle denunce presentate da 20 persone, relative ad atti di violenza da parte delle forze di polizia intervenute in Val di Susa nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005. In quell'occasione, alcune centinaia di agenti di polizia intervennero per far sgomberare circa 100 persone che manifestavano contro la costruzione di un collegamento ferroviario ad alta velocità. Secondo quanto riferito, i dimostranti furono aggrediti e picchiati, alcuni di essi durante il sonno. Il pubblico ministero aveva chiuso le indagini chiedendo l'archiviazione sulla base dell'affermazione che gli agenti accusati non potessero essere identificati, mentre il giudice ha chiesto un supplemento di indagine."
La morte di Federico Aldrovandi:
"Il 19 ottobre 2007 ha avuto inizio il processo contro quattro agenti di polizia accusati dell'omicidio colposo di Federico Aldrovandi, morto a Ferrara il 25 settembre 2005 dopo essere stato fermato dai quattro agenti. Durante le indagini preliminari, erano spariti e quindi riapparsi campioni di sangue raccolti sul luogo in cui Federico Aldrovandi era morto, mentre sono apparse alterate le registrazioni di telefonate ai servizi di emergenza effettuate la notte del decesso."
La morte di Aldo Bianzino e di Gabriele Sandri:
"Il 14 ottobre 2007 Aldo Bianzino, un falegname di 44 anni, è morto nel carcere di Capanne a Perugia, dove era stato condotto in stato d'arresto due giorni prima assieme alla sua compagna. La morte è avvenuta in circostanze oggetto di inchieste giudiziarie. Nel febbraio 2008 il pubblico ministero ha chiesto l'archiviazione del caso, sulla quale si attende il pronunciamento del giudice." e "Il 10 novembre 2007 Gabriele Sandri, un ragazzo di 26 anni, è stato ucciso da un colpo d'arma da fuoco esploso da un agente della polizia stradale, mentre si trovava in uscita da un autogrill in auto con alcuni amici, assieme i quali era diretto a Milano per seguire la partita della sua squadra in trasferta. Sul caso sono in corso indagini da parte della magistratura."

Tutto questo per quanto riguarda solamente la prima parte del rapporto sull'Italia.

Erosione dei diritti umani nella "guerra al terrore": le scelte dell'Italia

Si legge in questa seconda parte "Nel corso del 2007 e della prima metà del 2008 le scelte dell'Italia circa il rispetto dei diritti umani nell'ambito della lotta al terrorismo si sono mosse lungo linee analoghe a quelle percorse negli anni precedenti. La politica del sospetto applicata alle espulsioni e una tenace riluttanza a fare chiarezza sugli abusi commessi in nome della "guerra al terrore" hanno caratterizzato l'approccio delle autorità di governo. In quest'ambito, l'Italia ha anche contribuito a mettere a rischio la tenuta del principio internazionale che impone il divieto assoluto di tortura."

I punti fondamentali di questa seconda parte sono i tre casi di Redention (trasferimenti illegali di persone da un paese all'altro, generalmente culminanti in arresti arbitrari, sparizioni, detenzione senza processo e tortura) dei quali l'Italia è ritenuta in buona parte responsabile dagli organismi internazionali . I tre casi sono quelli di
Abu Omar, Maher Arar, Abou El Kassim Britel.

A proposito di queste tre vicende si legge
"L'8 giugno 2007 si è aperto il processo penale, ma dopo pochi giorni il giudice ha deciso di sospenderlo in attesa della decisione della Corte costituzionale, così accogliendo una richiesta presentata da Pollari e dagli altri imputati. La sospensione, non obbligatoria, è stata motivata con ragioni di economia processuale, in considerazione della potenziale inutilizzabilità di alcune prove a seguito del giudizio costituzionale. La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibili i ricorsi e ha fissato un'udienza per gennaio 2008, poi rinviata all'ultimo momento apparentemente in vista di una possibile "risoluzione concordata del conflitto" tra Governo e Procura, sinora non realizzatasi. In seguito, l'udienza di discussione dei tre citati ricorsi innanzi alla Corte Costituzionale è stata fissata per l'8 luglio 2008. Il 19 marzo 2008 il giudice di Milano ha deciso che il processo per il rapimento di Abu Omar dovesse ripartire. Il riavvio del processo agli agenti statunitensi e italiani accusati di coinvolgimento in questo paradigmatico caso di rendition rappresenta un importante passo in avanti per l'accertamento della verità e delle responsabilità. Il 13 maggio 2008 si è tenuta un'udienza nel corso della quale è stata ascoltata la moglie di Abu Omar, Nabila Ghali e il giudice ha ammesso a testimoniare Romano Prodi e Silvio Berlusconi. La prossima udienza è prevista per il 28 maggio. Gli imputati statunitensi sono tutti contumaci e il ministro della Giustizia durante la XV Legislatura, Clemente Mastella, non ha mai risposto alla richiesta della Procura di Milano di inoltrare al Governo Usa le richieste di estradizione dei 26 agenti, nonostante sollecitazioni giuntegli in tal senso dal Parlamento europeo, dal Consiglio d'Europa e da AI, organizzazione i cui rappresentanti il ministro non ha voluto incontrare. Con la citata risoluzione del 14 febbraio 2007, il Parlamento europeo ha deplorato "il fatto che il generale Nicolò Pollari, già direttore del Sismi, abbia nascosto la verità" alla Commissione e si è rammaricato che il rapimento di Abu Omar abbia messo a rischio le indagini sulla rete terroristica a cui Abu Omar era collegato. Dal canto suo, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (Pace) ha criticato la scelta del governo Italiano di ostacolare la ricerca della verità sul caso di Abu Omar attraverso l'invocazione del segreto di stato e ha stigmatizzato la scelta dell'Italia di preservare "ad ogni costo" le relazioni con gli Usa. Il Parlamento europeo ha inoltre deplorato il coinvolgimento dell'Italia nella rendition di Maher Arar, cittadino canadese di origini siriane condotto in Siria con un volo della Cia per la Giordania, che fece scalo a Ciampino l'8 ottobre del 2002. In Siria Maher Arar è stato detenuto per un anno e ripetutamente torturato; diverso tempo dopo la liberazione e il ritorno in Canada ha ottenuto le scuse e un risarcimento dal suo governo per quanto accadutogli. Da informazioni pubblicamente disponibili, sul caso risulta essere in corso un'indagine della procura di Roma. Oggetto dell'indagine del Parlamento europeo anche il caso di Abou El Kassim Britel, cittadino italiano arrestato in Pakistan nel marzo 2002 dalla polizia pakistana, interrogato da agenti statunitensi e pakistani e successivamente consegnato alle autorità marocchine. Secondo la documentazione trasmessa alla Commissione dall'avvocato di Britel, dopo l'arresto il ministero dell'Interno italiano era stato in "costante cooperazione" con i servizi segreti stranieri. Abou El Kassim Britel è tuttora detenuto in Marocco. Le indagini della magistratura italiana nei suoi confronti si sono chiuse senza alcuna incriminazione."

Rom e migranti: discriminazione, xenofobia e provvedimenti sulla "sicurezza"

In questo pararafo del Rapporto di Amnesty si condannano senza mezzi termini le reazioni xenofobe e discrimnatorie - come le definisce la stessa organizzazione - nei confronti dei Rom. Dice Amnesty "Il 31 ottobre 2007 è stata aggredita e uccisa a Roma una donna di 47 anni, Giovanna Reggiani; dell'omicidio è accusato un cittadino rumeno, da alcuni ritenuto appartenere alla minoranza rom. All'episodio sono subito seguite dichiarazioni di esponenti politici locali e nazionali che alludevano a responsabilità collettive di minoranze e gruppi di migranti. [...] Nelle ore immediatamente successive al crimine, gli organi di informazione hanno riportato le dichiarazioni del segretario del Partito Democratico e allora sindaco di Roma Walter Veltroni, secondo le quali "prima dell'ingresso della Romania nell'Unione europea, Roma era la metropoli più sicura del mondo", e ancora: "Se si sta in Europa bisogna starci a certe regole: la prima non può essere quella di aprire i boccaporti e mandare migliaia di persone da un Paese europeo all'altro". [...] In un'intervista rilasciata il 4 novembre successivo l'on. Gianfranco Fini, presidente di Alleanza Nazionale, ha dichiarato: "C'è chi non accetta di integrarsi, perché non accetta i valori e i principi della società in cui risiede" e ha così risposto alla giornalista che gli chiedeva se si stesse riferendo ai rom: "Sì, mi chiedo come sia possibile integrare chi considera pressoché lecito e non immorale il furto, il non lavorare perché devono essere le donne a farlo magari prostituendosi, e non si fa scrupolo di rapire bambini o di generare figli per destinarli all'accattonaggio. Parlare di integrazione per chi ha una 'cultura' di questo tipo non ha senso". Negli stessi giorni sono state riportate queste dichiarazioni del prefetto di Roma Carlo Mosca: "Firmerò subito i primi decreti di espulsione. La linea dura è necessaria perché di fronte a delle bestie non si può che rispondere con la massima severità". [...] Nel dicembre 2007 gli organi di stampa hanno riportato le affermazioni di un consigliere comunale del Comune di Treviso che invocava "metodi da SS per gli immigrati che recano disturbo", mentre più di recente un deputato della Lega Nord ha affermato: "Storicamente contro le invasioni ogni Stato ha sempre utilizzato il proprio esercito per difendersi. Oggi la storia si ripete: siamo sotto un diverso tipo di invasione, attuata con metodi diversi, ma per gli stessi motivi, ovvero soggiogarci a leggi altrui o depredare i nostri beni". [...] Nel corso del 2007 e sino al maggio 2008 si sono verificati attacchi violenti ad accampamenti rom in diverse città, tra cui Appignano - Ascoli Piceno (aprile 2007), Roma (settembre 2007), Torino (ottobre 2007) e Ponticelli - Napoli (maggio 2008). Sono state anche segnalate dagli organi di informazione diverse aggressioni ai danni di immigrati romeni e di altre nazionalità, tra cui i recentissimi episodi che hanno colpito a Roma, nel quartiere Pigneto, cittadini del Bangladesh. [...] A marzo 2008, il Comitato delle Nazioni Unte per l'eliminazione della discriminazione razziale (CERD/C/ITA/CO/15) ha espresso preoccupazione per le condizioni di "segregazione di fatto" in cui si trovano i rom in Italia, privi di accesso ai servizi essenziali, e per i discorsi di odio dei politici. Il Comitato ha evidenziato gli stereotipi riguardanti i rom diffusi nell'opinione pubblica e presso i Comuni, i quali danno origine a ordinanze discriminatorie. Preoccupazione è stata espressa anche rispetto alla situazione dei migranti irregolari.[...] Il 16 maggio 2008, a seguito dei citati attacchi incendiari avvenuti a Ponticelli, l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'Osce ha espresso preoccupazione per l'aumento della retorica anti-rom e anti-immigrati verificatasi negli ultimi mesi e ha ricordato che la ricorrente stigmatizzazione di questi gruppi aumenta le probabilità che si verifichino violenze. [...] Il 20 maggio 2008 la European Roma Policy Coalition, di cui AI fa parte, ha chiesto con urgenza alle autorità italiane di agire contro l'uso di dichiarazioni anti-rom da parte media e dei politici italiani e ha affermato che l'Italia ha alimentato il razzismo attraverso la retorica anti-rom."

Per quanto riguarda i "provvedimenti sulla sicurezza" oltre a trattare nuovamente la Bossi-Fini e la sua mancata modifica da parte del Govero Prodi, Amnesty International si sofferma sugli ultimi avvenimenti e scrive "
Nel corso del primo consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008 il governo Berlusconi in carica ha approvato un insieme di modifiche e proposte normative, anch'esse nominalmente riferite alla "sicurezza", che prevedono pesanti restrizioni e nuove figure di reato le quali colpiscono soprattutto gli immigrati, direttamente o indirettamente. Il giorno stesso il ministro dell'interno Maroni ha così potuto annunciare l'introduzione del "reato di immigrazione clandestina, con una procedura rapida di giudizio e di espulsione (...) e il trattenimento nei CPT fino a 18 mesi, anticipando una direttiva europea" attualmente in discussione. Le nuove misure sono state accompagnate da diverse dichiarazioni in linea con la tendenza segnalata a stigmatizzare interi gruppi di persone, in particolare i rom e i migranti irregolari; il leader dell'opposizione Walter Veltroni ha dichiarato che queste misure in larga parte coincidono con quelle pianificate dalla precedente maggioranza di governo. Il cosiddetto "pacchetto sicurezza" più precisamente include:
  • un decreto legge che punisce con la reclusione e la confisca del bene chi affitta un immobile a un immigrato irregolare, attribuisce più ampi poteri ai sindaci in materia di "ordine e sicurezza pubblica" e rende una circostanza aggravante di qualsiasi reato quella di essere stato commesso da un immigrato irregolare;
  • un disegno di legge che propone di considerare reato l'ingresso e il soggiorno irregolare in Italia e intende portare a 18 mesi il tempo massimo della detenzione nei centri a scopo di espulsione (ora di 60 giorni);
  • una bozza di decreto legislativo che prevede la cancellazione dell'effetto sospensivo dell'espulsione, recentemente attribuito al ricorso contro lo status di rifugiato ; altre due bozze di decreti legislativi che inaspriscono le norme relative ai ricongiungimenti familiari e al soggiorno dei cittadini Ue.

Hanno espresso allarme per la riforma normativa molte organizzazioni non governative italiane e internazionali e lo stesso Unhcr, il quale ha sottolineato come i richiedenti asilo, spesso costretti dalla mancanza di alternative a fare ingresso irregolarmente nei paesi dove cercano protezione, potrebbero venire accusati di aver commesso un reato. AI è estremamente allarmata per il contenuto di queste misure, per le modalità affrettate e propagandistiche della loro emanazione e per il clima di discriminazione che le ha precedute e che le accompagna. L'incriminazione dei richiedenti asilo per ingresso irregolare è peraltro espressamente escluso dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati."


Diritti dei rifugiati e dei minori migranti


Si legge nei paragrafi "Miglioramenti legislativi e rischiosi passi indietro" e "La collaborazione tra Italia e Libia in materia di contrasto all'immigrazione": "Alcuni miglioramenti sono stati introdotti nel 2007 nella normativa e nella prassi in materia di asilo e rispetto ai minori migranti giunti alla frontiera. Essi tuttavia vengono ora messi a rischio dalle proposte di riforma incluse nel citato "pacchetto sicurezza", che intervengono in un quadro ancora privo di una legge organica sull'asilo. A seguito della chiusura della propria campagna Invisibili a giugno del 2007, che ha raccolto 50.000 firme e si è articolata in oltre 200 iniziative nel corso di 16 mesi, AI ha segnalato i miglioramenti intervenuti relativamente ai minori giunti in Italia via mare. Tra essi la drastica riduzione dei tempi di detenzione dei minori non accompagnati all'arrivo, l'emanazione di regole di identificazione che ancorano l'identificazione al principio di presunzione della minore età in caso di dubbio e la pubblicazione dei dati relativi agli arrivi dei minori via mare, i quali hanno mostrato la loro forte presenza all'interno di quelli che, con gergo militaresco, vengono definiti "sbarchi" di immigrati. Nel 2007 i minori hanno rappresentato oltre il 10,5 % degli arrivi via mare. Agli inizi del 2008, la materia dell'asilo è stata profondamente modificata con l'entrata in vigore di due decreti legislativi emanati dal Governo a novembre 2007, in attuazione di altrettante direttive Ue. [...] È proseguita la collaborazione con la Libia in materia di contrasto all'immigrazione irregolare sulla base di accordi segreti e senza che alcuna condizione venisse posta dall'Italia in materia di rispetto dei diritti umani. La Libia non ha ratificato la Convenzione sullo status di rifugiato, non ha una procedura di asilo e si macchia ogni anno di gravi violazioni dei diritti dei rifugiati e dei migranti, tra cui la detenzione arbitraria e le violenze contro i migranti detenuti, comprese le donne. Gli intensi rapporti diplomatici tra i due paesi hanno condotto il 29 dicembre 2007 a un accordo bilaterale che prevede il pattugliamento marittimo congiunto attraverso un nucleo operativo italo-libico a comando libico, per mezzo di sei navi della Guardia di Finanza fornite dall'Italia, senza che venga chiarito cosa debba accadere alle persone, migranti e rifugiati, respinte in mare dalle unità navali. L'Italia ha ultimato e consegnato al governo libico una struttura a Gharyan destinata, secondo quanto dichiarato dal ministero dell'Interno nel luglio 2007, "a scuola per l'addestramento e la formazione degli allievi agenti della polizia libica, nell'ambito dei rapporti di collaborazione delle forze di polizia", mentre non si hanno notizie precise circa il centro previsto a Kufra e definito dallo stesso ministero dell'Interno un "centro sanitario di frontiera". La lettera con cui AI chiedeva all'allora ministro Amato chiarimenti circa un'operazione realizzata in Libia con la collaborazione di personale italiano di pubblica sicurezza nei confronti di 190 migranti sudanesi, eritrei, etiopi e di altre nazionalità, tra cu 17 donne e 3 bambini, è rimasta senza risposta. Con il decreto legge di rifinanziamento delle missioni italiane all'estero, il governo Prodi ha destinato alla collaborazione con la Libia oltre 6 milioni e 200 mila di euro. Il decreto è stato convertito in legge dal Parlamento il 13 marzo 2008."


Commercio di armi e bambini soldato


Nell'ultimo punto "Commercio di armi e bambini soldato" scrive Amnesty "Sussiste una preoccupante disomogeneità delle norme che regolano le esportazioni di armi da guerra e delle piccole armi ad uso civile. [...] È quindi ammesso e possibile che l'Italia venda armi leggere a soggetti privati o a governi di paesi in cui persone con meno di 18 anni partecipano alle ostilità come parte di eserciti o di gruppi armati. Nel gennaio 2008, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha reso pubblico il Rapporto Annuale 2007, destinato all'attenzione del Consiglio di Sicurezza, in cui si conferma il reclutamento e l'utilizzo di bambini soldato in diversi paesi già segnalati nel 2006, tra cui: Burundi, Ciad, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Nepal, Filippine, Uganda e Afghanistan.
Da un'analisi dei dati disponibili si rileva che, tra il 2002 e il 2007, l'Italia ha autorizzato l'esportazione di armi leggere e di piccolo calibro verso soggetti privati o statali delle Filippine per € 7.169.863, in Afghanistan per € 3.189.346, e in Colombia per € 1.027.196, nonché verso soggetti privati o statali, nella Repubblica Democratica del Congo per € 179.582, in Nepal per € 18.321, in Uganda per € 10.088, in Burundi per € 9.017, e in Ciad per € 1.756. Inoltre, nonostante gli elevati standard sui diritti umani contemplati dalla Legge 185/1990, non sempre le autorizzazioni all'esportazione di armi hanno effettivamente evitato che queste finissero a governi di paesi in cui i bambini vengono utilizzati come soldati. L'Italia, tra il 2002 e il 2006, ha infatti venduto armi alle forze armate delle Filippine per 1,6 milioni di euro e della Colombia per 2,3 milioni di euro. Tutto ciò avviene in aperto e palese contrasto con gli impegni assunti a livello internazionale: in particolare, in occasione della candidatura italiana a componente del nuovo Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani per il triennio 2007-2010, il governo italiano si è impegnato a tutelare i diritti dell'infanzia, specialmente dei minori coinvolti nei conflitti armati e a settembre 2007 il ministero degli Affari esteri ha presentato uno speciale "Minori soldato una sfida ancora aperta" in cui si evidenziava il ruolo dell'Italia nel contrastare l'utilizzo dei bambini soldato."

articolo precedente: Amnesty International: Imtroduzione Rapporto annuale 2008.
articolo precedente: Amnesty International: Rapporto Annuale 2008, fatti e cifre.

PrimoZanni

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