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lunedì 19 maggio 2008

Perchè si suicidano i soldati USA

Articolo di Maurizio Blondet tratto dal sito Effedieffe.com del 19 Maggio 2008.

www.effedieffe.com



«Spesso i nostri convogli s’imbattevano in corpi umani abbandonati per la strada, a volte da settimane. In questo caso, la norma per noi era di passare sopra i corpi con l’automezzo, a volte fermandoci a fare fotografie»: così ha testimoniato il Marine Vincent Emanuele in un’audizione davanti al Congresso (1).

Il sergente Adam Kokesh ha esibito una foto che lo ritraeva in piedi, sorridente, davanti al cadavere di un iracheno a cui un altro Marine aveva sparato.

«E’ una foto di cui adesso mi vergogno», ha raccontato, «ma in quel momento ciò che mi disturbava era che non ero stato io ad ammazzare quell’uomo, e stavo facendo una foto-ricordo col trofeo di un altro». Il corpo, ha spiegato, era quello di un innocuo civile, la cui auto era stata accidentalmente «presa di mira» dai Marines.

Il fatto, ha spiegato l’ex Marine Vincent Emanuele, è che «le nostre regole d’ingaggio stabiliscono che per fermare un’auto, dobbiamo prima sparare in avvertimento a terra davanti al veicolo, poi al blocco motore, infine al parabrezza; questo se l’auto si muove ancora. Di fatto, spesso abbiamo sparato anche a macchine che s’erano accostate a lato strada».

La testimonianza davanti al Congresso nasce da un raduno avvenuto in Maryland il marzo scorso. Era una riunione di reduci, dal titolo: «Winter Soldiers, Iraq and Afghanistan, eyewitness account of the occupations», in cui decine di ex soldati hanno raccontato le atrocità cui avevano assistito, o che avevano commesso essi stessi, durante il servizio nei Paesi occupati.

In quella riunione, un vecchio reduce dal Vietnam prima ha mostrato una foto che lo ritraeva accanto a un cadavere vietnamita - lo stesso «ricordo di caccia» che aveva in tasca il sergente Kokesh - ed ha detto: «Non permettete al governo di farvi questo. Non permettete al governo di porvi in una situazione in cui il disprezzo per la vita umana diventa così accettabile e comune».

A quel punto, i più giovani reduci dall’Iraq hanno deciso di ottenere un’audizione dal Congresso. Li ha ascoltato il «Progressive Caucus», i deputati della sinistra democratica.

Luis Carlo Montalvan, già capitano dell’esercito, ha testimoniato di aver visto personalmente personale militare USA eseguire interrogatorii con la tecnica del «waterboarding», il simulato annegamento dell’interrogato, definito come tortura persino dai tribunali americani. Montalvan è stato sotto il diretto comando del generale David Petraeus nel 2005-2006: «Alziamo la voce», ha detto, «per sollevare la questione della violazione dei doveri di generali che vengono promossi e fanno carriera, mentre continuano a diffondere le menzogne sulla situazione in Iraq».

Il sergente Matthis Chiroux, 24 anni, ha servito come giornalista in uniforme per le pubblicazioni dell’esercito. «In questa veste ho sentito una quantità di racconti da far rivoltare lo stomaco sugli orrori e i delitti che si commettono in Iraq. Per paura di ritorsioni dall’amniente militare, non ho mai riportato questi crimini. Ma ho deciso: mai più lascerò che la paura mi chiuda la bocca» (2).

Chiroux ha ricevuto un nuovo richiamo alle armi in base al decreto «stop-loss», che dà al presidente Bush il potere di trattenere i soldati (tutti volontari) in servizio anche oltre il termine del contratto. Già 50 mila soldati sono stati trattenuti in servizio in questo modo, praticamente un esercito mobilitato a forza.

Quando ha ricevuto la nuova cartolina precetto, ha detto Chiroux, «ho pensato seriamente al suicidio. Mi sono chiuso nella mia stanza e non ne sono uscito per quasi un mese. Sedevo lì leggendo le notizie dall’Iraq, disperato: mi obbligano a tornare là, mi dicevo, mi obbligano a partecipare di nuovo a un crimine contro l’umanità. Non volevo esserci più, non volevo».

Poi il suo incontro con altri reduci anti-guerra (Iraq Veterans against the War) ed è andato al raduno dei Winter Soldiers: «Per la prima volta ho parlato di ciò che sentivo, con persone che si sentivano come me». Da allora ha deciso: rifiutare la chiamata. Poteva scappare all’estero per fuggire le conseguenze penali della diserzione. «Ma ho deciso di restare in USA a difendermi dalle accuse che l’esercito mi eleverà. Io rifiuto di partecipare all’occupazione dell’Iraq».

Le atrocità commesse, occasione di risate fra commilitoni sul campo, poi ossessionano questi giovani quando tornano, nella loro solitudine di reduci. Questo può spiegare il numero altissimo di suicidi fra i soldati dimessi, oltre mille al mese. Il dato, impressionante, fatica a raggiungere i grandi media nazionali; lo stillicidio di suicidi fra reduci è riportato solo dalla stampa locale.

Il San Francisco Chronicles ha recentemente rivelato che nel solo 2006, e nella sola California, si sono tolti la vita 666 reduci dell’Iraq e Afghanistan. Il 21% di tutti i suicidi della California, anche se i reduci sono solo il 6% della popolazione californiana.
Il deputato Maxine Walters, dopo la testimonianza, ha detto ai giovani soldati che avevano deposto: «Voglio ringraziarvi: avete più coraggio di tanti membri del Congresso, siete venuti qui sfidando gli ordini e le istruzioni che vi erano state date. Vi rendo onore per questo».

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1) Aaron Glantz, «Iraq veterans describe atrocities to lawmakers», AntiWar.com, 17 maggio 2008.
2) Aaron Glantz, «Soldier refuses Iraq tour, citing «stomach-churning» horros», AntiWar.com, 17 maggio 2008.

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